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Fine della modernità

Fine della modernità

Newsletter n.335 del 22 marzo 2024

Cari amici,

a conclusione del centenario della nascita di padre Balducci si è tenuto a Roma un Convegno, nella stessa sala della chiesa di san Francesco a Monte Mario dove Balducci veniva regolarmente per portare anche ai romani la sua profezia. Questa era una profezia di pace, e l’occasione è stata buona per ricordare come questa profezia sia stata messa alla prova proprio alla fine della sua vita, quando la guerra del Golfo, nel 1991, rovesciò il corso della storia e reintrodusse la guerra come suprema regolatrice del sistema internazionale.

Balducci, sbagliando diagnosi, fino all’ultimo pensò che la guerra non ci sarebbe stata, e anzi esaltò la risoluzione dell’ONU che imponeva all’Iraq il ritiro dal Kuwait, come il primo vagito di una vera comunità mondiale che in tal modo avrebbe mostrato di voler prendere in mano il suo destino, contro l’arbitrio dei poteri violenti. Quella pronunzia dell’ONU fu invece presa dall’Occidente come legittimazione della guerra, si scatenò una campagna perché l’opinione pubblica ne fosse persuasa, e padre Balducci patì tutto ciò come uno scacco della ragione; egli ne fu sgomento, scrisse che sulle “acque bituminose del Golfo galleggiavano come carta straccia la Carta dell’ONU, la Carta atlantica, la Costituzione italiana e le altre grandi Carte dei diritti” giungendo a dire che con quella guerra finiva l’egemonia euroatlantica, incapace di riconoscere e di accogliere l’Altro, a cominciare dal mondo musulmano; ma non solo: il giudizio era che con essa finiva anche l’età moderna.

Allora quel giudizio poté sembrare un’iperbole. Invece si è poi visto come quella fosse una chiave interpretativa potente, che spiega tutto ciò che è avvenuto in seguito fino ad oggi e che culmina nel ritorno della guerra fratricida in Europa e nel genocidio di Gaza. Nel Novecento, nel travaglio del parto di un nuovo mondo dopo la tragedia della seconda guerra mondiale e della Shoà, l’età moderna era giunta al suo apice. C’era stata la rivoluzione proletaria, a mettere il pungolo alla rivoluzione borghese; c’erano state le grandi rivoluzioni culturali e costituzionali postbelliche, il ripudio della guerra, la proclamazione dell’eguaglianza di tutti gli esseri umani, il superamento delle sovranità assolute, l’abbandono delle colonie e degli Imperi, il Concilio Vaticano II e il convivio delle religioni; c’era stata la riconciliazione tra Oriente e Occidente alla caduta del Muro e l’avvio del disarmo, c’erano state le primavere arabe e l’euforia di una globalizzazione in un mondo “libero dalle armi nucleari e non violento” quale Gorbaciov e Rajiv Gandhi avevano preconizzato, inascoltati, da Nuova Delhi. Restavano certo le grandi contraddizioni, le grandi ingiustizie, le rivendicazioni inappagate, popoli negati, la miseria non alleviata, la fame non vinta. La tecnica cominciava la sua scalata al cielo, a usurpare il giudizio, a soppiantare “l’opera della mente e delle mani dell’uomo”. Ma si era aperto un cantiere. Di là si potevano aprire due strade, o la messa in sicurezza di quella rivoluzione, ponendosi mano a costruire questo mondo nuovo, o la restaurazione controrivoluzionaria, la disperata difesa delle perdute egemonie, il ripristino della guerra come sistema di dominio, la competizione strategica come modalità del nuovo rapporto tra i popoli. Purtroppo si è scelta questa seconda strada, ed è stata inaugurata un’età dell’odio, in cui l’odio per chi viene scelto come nemico diventa la patente dell’ortodossia rispetto ai “valori dell’Occidente”.

 Ma se così è, che cosa c’è oltre la modernità? Oltre la modernità c’è o la fine o un altro futuro. La scelta è nelle nostre mani.

Con i più cordiali saluti,

Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri

*Foto ritagliata di Karolina Grabowska tratta da pexels.com, immagine originale e licenza

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