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Un nuovo pensiero sul Creato

Un nuovo pensiero sul Creato

Tratto da: Adista Documenti n° 22 del 20/06/2015

Nelle prossime settimane, papa Francesco pubblicherà la sua enciclica sull'ambiente. Blogger ed esperti sono in egual misura impegnati a fare previsioni su cosa dirà esattamente, mentre i sostenitori della giustizia sociale quasi ballano per strada, felici che il papa prenda sul serio l'insegnamento sociale della Chiesa. 

Benché nessun altro pontefice abbia dedicato un documento ufficiale all'ambiente, papa Francesco potrà basarsi sul lavoro di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, noto come il “papa verde” per i suoi eloquenti scritti teologici sul Creato. Papa Francesco, tuttavia, porta nuova linfa alla posizione della Chiesa sull'ambiente. Il suo non è un trattato intellettuale ma un invito a operare per un futuro sostenibile, per i poveri e per una distribuzione più equa delle risorse. 

Le aspettative suscitate da questa nuova enciclica mi riportano alla mente quando, sul finire degli anni '70, i teologi della liberazione proclamarono appassionatamente che il grido della Terra è il grido dei poveri. Si ha la sensazione, oggi come allora, che una nuova alba stia per sorgere, che un mondo nuovo e più giusto si delinei all'orizzonte.

Abbiamo un papa che ha i piedi piantati per terra. Che non è tentato da ideali neoplatonici ma comprende chiaramente la necessità che la fede si esprima in azioni sociali: non possiamo vivere di sola fede. Fede e buone azioni devono andare di pari passo e le “buone azioni” comportano lo sviluppo di un'etica della cura e della compassione e l'opposizione alle strutture di peccato. Non si può non ammirare questo papa che, quasi ottantenne, è disposto a viaggiare in lungo e in largo e a parlare ai leader mondiali alle Nazioni Unite, al Congresso degli Stati Uniti e ad altri capi di Stato, facendo tutto quanto è in suo potere per contribuire a creare strutture di giustizia. La sua giustizia sociale itinerante è fonte di ispirazione.

Aneliamo a un mondo nuovo, l'abbiamo sempre fatto. Non credo ci sia stato un momento, in questo tempo assiale, e fin dalla nascita della modernità, in cui si sia provato un senso di sazietà, di benessere comune e di condivisione, un momento in cui tutti si siano sentiti parte di un tutto. A partire dalla nascita della coscienza individuale e delle religioni, sono stati i confini tribali e la competizione per le risorse a influenzare lo sviluppo dei popoli. 

Oggi il desiderio di un nuovo ordine mondiale emerge dalla crescente consapevolezza dell'impossibilità di sostenere a lungo il nostro stile di vita. Il prezzo pagato dai poveri è profondamente iniquo e le risorse sono in via di esaurimento.

Il fatto che per un leader religioso come papa Francesco l'ambiente sia diventato una priorità è assolutamente stupefacente. Ciò che rende così reale il papa è la sua mancanza di gergo intellettuale: il fatto che esprima le virtù della semplicità e della compassione e che guardi ai poveri come persone sofferenti in carne e ossa. La luce che getta sui poveri e sull'ambiente non è metafisica, non si tratta di meri concetti. Il suo obiettivo è che un cambiamento reale si faccia spazio nel modo in cui ci prendiamo cura gli uni degli altri e della Terra. Che la Chiesa abbia una dottrina vivente sul Creato. Papa Francesco ci indica che dobbiamo prendere sul serio la scienza e gran parte dei dati scientifici ci dice che il riscaldamento climatico è destinato a crescere, con tutti i suoi disastrosi effetti.

Abbiamo un papa che apprezza veramente la scienza e il valore delle sue conoscenze. Come ha indicato Giovanni Paolo II, «la scienza può purificare la religione dall’errore e dalla superstizione; la religione può purificare la scienza dall’idolatria e dai falsi assoluti». Allo stesso modo, papa Francesco sta dicendo che dobbiamo essere attenti a ciò che la scienza ci trasmette se vogliamo garantirci un futuro di vita sostenibile.

Ma aspettate: stiamo parlando della scienza e del creato, vale a dire degli esseri umani e delle creature della Terra, di fratello sole e di sorella luna? Stiamo parlando del cosmo? Se non stiamo parlando del cosmo, allora tutti i discorsi sull'umanità e sull'ambiente non sono che astrazioni; se invece è il cosmo al cuore della discussione, allora qui ci troviamo di fronte a un dilemma. La teologia cattolica manca, a tutti gli effetti, di un'adeguata dottrina del Creato. La teologia ufficiale della Chiesa, formulata da San Tommaso d'Aquino, fu elaborata in accordo con l'antico modello tolemaico del cosmo. Pur trattandosi del paradigma giusto per quei tempi - avendo fornito le basi per comprendere Dio, il Cielo e la Terra, la centralità della persona a immagine di Dio, il peccato e il male, il bisogno di redenzione e i novissimi (morte e giudizio, inferno e paradiso) - questo modello è inadeguato rispetto a ciò che ora sappiamo dell'universo.

Raimon Panikkar ha giustamente sottolineato che non c'è cosmo senza Dio e non c'è Dio senza cosmo. Quando cambia la nostra comprensione del cosmo, anche la nostra comprensione di Dio (e delle cose di Dio) cambia. Lo stesso Tommaso d'Aquino diceva che un errore sulle cose del Creato porta a un errore sulle cose di Dio. Per quanto il nostro amato papa possa instillare nelle menti e nei cuori dei cattolici una nuova visione dell'ambiente, questo non servirà a nulla senza un aggiornamento della nostra teologia del Creato alla luce della scienza contemporanea.

Non si insisterà mai abbastanza sul nesso tra cosmologia e teologia. Nancy Abrams e Joel Pribam hanno dedicato il loro lavoro a ristabilire la relazione tra la cosmologia e l'antropologia. Scrivono: «C'è una profonda connessione tra la nostra mancanza di una cosmologia condivisa e i nostri crescenti problemi globali. Non abbiamo percezione di come noi e i nostri simili ci inseriamo nel quadro generale... senza un quadro generale siamo davvero piccoli». Anche Pierre Teilhard de Chardin riconosce tale mancanza di connessione: «L'artificiale separazione tra esseri umani e cosmo è alla radice della nostra attuale confusione morale».

Come si spiega questa «artificiale separazione»? Semplicemente con l'incapacità delle religioni mondiali di aprirsi alle conoscenze della scienza moderna, in particolare l'evoluzione, lasciando le nostre dottrine teologiche prive di una cosmologia credibile. Abrams afferma che «la razza umana ha bisogno di una coerente, credibile immagine dell'universo che sia applicabile a tutti noi e che riconosca alla nostra vita e alle nostre specie un posto significativo in questo universo».

Il futuro della Terra dipende da una visione condivisa e da una vita condivisa. La nuova scienza ci risveglia alla nostra connessione con le stelle e con le vorticose galassie. La biologia ha scoperto il mondo in miniatura delle cellule attraverso cui cogliamo l'energia dinamica che intesse tutta la vita in una comunione cosmica di meraviglia e stupore.

La questione dell'ecologia umana deve essere collocata nel più ampio quadro della cosmologia dell'evoluzione e del Big Bang, se vogliamo che eserciti una reale forza di attrazione. Non possiamo affrontare adeguatamente le disuguaglianze strutturali sulla base di antiche idee religiose che escludono le donne dalla piena partecipazione nella Chiesa o che definiscono l'essere umano come intrinsecamente cattivo o che sostengono la crescita illimitata della popolazione. La scienza moderna ci offre nuove conoscenze sull'apparizione della vita, sul ruolo della coscienza nell'evoluzione e sul processo evolutivo in un universo infinito. 

Dio non ha portato a termine la creazione: al contrario, sta continuando a creare e noi siamo co-creatori, partecipi di questa narrazione della vita in divenire. La questione è: cosa stiamo creando? Perché siamo più innamorati dei prodotti di consumo che del nostro vicino povero? Perché spendiamo milioni di dollari per i nostri idoli sportivi e per il cibo per animali anziché per garantire ai poveri una casa dignitosa o per assicurare a tutti l'accesso all'acqua potabile? Perché cresce la vendita di automobili e perché gli orologi Apple sono così attraenti?

La questione di fondo è che non abbiamo coscienza dell'interrelazione tra tutto e tutti; non ci vediamo interconnessi con i poveri e quindi non ci sentiamo in dovere di cambiare i nostri modelli di consumo, di aiutare i poveri o di dare vita a economie alternative. Finché non disporremo di una nuova narrazione cosmologica che tenga tutto insieme in un modo nuovo, non opereremo alcun cambiamento. Di fatto, continueremo a insistere (implicitamente) affinché il resto del mondo diventi come noi.

L'aspetto più tragico è che la civiltà occidentale e il suo desiderio di progresso sono basati sui principi fondamentali della tradizione giudaico-cristiana, compresi quelli della contingenza della creazione, della dignità della persona e della causalità degli eventi. I principi di base cui si richiama il papa per risolvere la crisi ambientale, specialmente quello dell'essere umano fatto a immagine di Dio, sono gli stessi principi che, in un certo senso, hanno provocato la crisi, soprattutto infondendo il desiderio di scoperta e di progresso. Albert Einstein una volta dichiarò: «Non possiamo risolvere i nostri problemi seguendo la stessa mentalità che li ha prodotti». Allo stesso modo, la teologia cattolica, basata su principi dell'antica cosmologia (e scienza), non è in grado di risolvere la crisi dei nostri giorni.

Rispetto all'enciclica di papa Francesco, quello che prevedo è che dia nuova linfa a molte discussioni ma che non evochi alcun cambiamento reale. Per spingere la comunità umana in una nuova direzione c'è bisogno di una nuova narrazione cosmologica che, a sua volta, comporti radicali cambiamenti a livello di teologia, di ecclesiologia e di pastorale ministeriale. Se vogliamo un mondo diverso, dobbiamo diventare una Chiesa diversa.

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