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Politiche climatiche e tutela dei diritti umani: alla Corte EDU una sentenza storica

Politiche climatiche e tutela dei diritti umani: alla Corte EDU una sentenza storica

Con una sentenza storica, il 9 aprile scorso, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU o Corte EDU) ha riconosciuto la correlazione tra l’inazione politica dei governi – incapacità, cattiva volontà, ritardi nell’aggiornare le politiche ambientali e climatiche in linea con gli accordi internazionali e con le acquisizioni scientifiche – e la negazione dei diritti basilari dei propri cittadini, alla luce dell’art. 8 (“Diritto al rispetto della vita privata e familiare”) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. A farne le spese, la Svizzera, trascinata di fronte alla corte europea da una manciata di anziane rappresentanti di un’associazione che raduna 2.500 donne ultra 64enni impegnate sulle tematiche climatico-ambientali (la “Verein KlimaSeniorinnen Schweiz” o, in inglese, “Senior Women for Climate Protection Switzerland”) e da altri cittadini querelanti, con il supporto di Greenpeace Svizzera. Il ricorso, presentato alla Corte EDU a fine marzo 2023, è stato in assoluto la prima climate litigation (“causa climatica”) su cui la Corte ha dovuto esprimersi. Le donne anziane, ritenendosi più fragili e fortemente limitate nell’esercizio dei propri diritti, prima di tutto alla salute e all’incolumità, a causa delle sempre più frequenti ondate di calore, hanno accusato il governo elvetico di non varare provvedimenti climatici a tutela dei loro diritti minacciati, e hanno ottenuto dal Tribunale di imporre al Paese di allinearsi agli obblighi internazionali di riduzione delle emissioni e di mitigazione degli effetti della crisi climatica.

Nello stesso giorno, la Cedu ha respinto altri due casi omologhi: quello di 6 attivisti portoghesi contro 32 Stati, accusati di non agire efficacemente per ridurre le emissioni climalteranti, e quello dell’ex sindaco francese di Grande-Synthe, Damien Carême, che per le stesse ragioni ha citato in giudizio la Francia.

In un comunicato congiunto, diramato il 9 aprile scorso, Senior Women for Climate Protection Switzerland e Greenpeace Switzerland salutano con favore la storica sentenza: «L’associazione delle donne anziane svizzere per la protezione del clima, i cui membri hanno agito contro la Svizzera per aver violato i suoi diritti umani non fissando obiettivi climatici sufficienti, ha ottenuto una vittoria storica presso la Corte Europea dei Diritti Umani». «La Corte – si legge ancora – chiarisce che la Svizzera ha il dovere di proteggere le donne anziane dalle conseguenze negative del riscaldamento globale sulla loro salute. E ha chiarito che la Svizzera ha violato questo obbligo con la sua politica climatica inadeguata», indicando obiettivi specifici che il governo elvetico dovrà raggiungere al più presto per colmare il vuoto normativo emerso nella sentenza. In tal senso, affermano i cofirmatari, «questa sentenza ha implicazioni di vasta portata» perché rappresenta un un importante «precedente per tutti i 46 Stati del Consiglio d’Europa», di cui la Corte EDU è organo giurisdizionale.

«Questa sentenza è una pietra miliare nella lotta per un clima vivibile per tutti», ha esultato anche Anne Mahrer (copresidente dell'associazione delle anziane svizzere). «Da nove anni lottiamo per la giustizia climatica con il sostegno di Greenpeace. Dopo che i tribunali svizzeri si sono rifiutati di ascoltarci, la CEDU ha ora confermato che la protezione del clima è un diritto umano».

Il precedente, la speranza

La recente sentenza Cedu ha riacceso le speranze anche delle associazioni ambientaliste italiane, le quali hanno già tentato, ancora senza successo, iniziative legali contro lo Stato per inazione climatica. Il caso dei 203 ricorrenti (179 cittadini, tra cui 17 minori, e 24 associazioni ambientaliste e per i diritti umani) – nell’ambito della Campagna della società civile “Giudizio Universale” – al Tribunale Civile di Roma, si è concluso il 26 febbraio scorso, dopo due anni di udienze, con una deludente sentenza di primo grado: il Tribunale romano ha, infatti, deciso di non entrare nel merito della questione pronunciando un giudizio di «inammissibilità per difetto di giurisdizione» (v. Adista n. 10/24).

«È la prima volta che la Corte si pronuncia sulle mancate misure per il clima», commenta l’Associazione A Sud-Ecologia e Cooperazione, capofila della Campagna “Giudizio Universale”. Con questa sentenza contro la Svizzera, «la Cedu ha stabilito che il mancato raggiungimento degli obiettivi di riduzione di gas climalteranti ha violato alcuni diritti umani. La sentenza dovrebbe costringere il governo elvetico a varare politiche climatiche più efficaci e può avere importanti ripercussioni su altri Paesi europei». La sentenza Cedu rappresenta anche un riconoscimento delle battaglie condotte dalle associazioni in Italia e un incentivo a ricorrere in appello dopo il pronunciamento del Tribunale di Roma. Secondo il team dei legali di “Giudizio Universale”, infatti, «la sentenza ricorderà ai tribunali e al governo italiani che la richiesta da parte della società civile di protezione dei diritti fondamentali minacciati dall’emergenza climatica provocata dalle politiche climatiche insufficienti è giustiziabile». E ancora: «Non tutti i tribunali nazionali sono ricettivi alle controversie sul clima e i processi sono molto lunghi, mentre l'emergenza climatica ci impone azioni rapide. Il caso italiano ne costituisce un esempio, in quanto sono state attivate le vie di ricorso a livello nazionale in Italia, ma il tribunale domestico dopo quasi tre anni ha deciso che le richieste di tutela dei diritti fondamentali legate al cambiamento climatico non sono giustiziabili in Italia».

E in Italia?

Secondo il WWF Italia, che il 9 aprile ha diramato una nota in cui esulta per la «sentenza storica», «è auspicabile che l’orientamento della Corte EDU possa fornire un nuovo stimolo perché l’Italia al più presto conformi piani e misure alle ragioni della transizione ecologica». La sentenza potrà condizionare le decisioni politiche sulle due sfide attuali più cogenti per il nostro Paese: la revisione (entro giugno) del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) e la formulazione, in fase di avvio dopo anni di appelli delle associazioni, di una legge organica sul clima, che imponga al Paese un percorso chiaro e definito di riduzione delle emissioni climalteranti.

«La Corte europea dei diritti dell’uomo ha proclamato una sentenza storica, che inchioda la Svizzera sull’inazione climatica e diventa subito un precedente legale», commenta il 9 aprile anche La Nuova Ecologia, testata nata nel 1995 su impulso di Legambiente. «È la prima volta che un tribunale transnazionale specializzato in diritti umani sostiene esplicitamente il diritto alla protezione del clima, mettendo in relazione la difesa del clima e i diritti umani, e condanna l’inazione dei governi», aggiunge Stefano Ciafani (presidente nazionale di Legambiente): «L’Italia cambi rotta subito recuperando i ritardi accumulati nella lotta alla crisi climatica, smettendo di rincorrere le emergenze e di pagare in termini di vite umane e danni ai territori» provocati dai continui e crescenti eventi meteorologici estremi. Anche secondo Ciafani la sentenza dovrebbe accrescere l’impegno italiano sull’attuazione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) e sull’approvazione dell’aggiornamento PNIEC, «con obiettivi più ambiziosi di produzione di energia rinnovabile e di riduzione di gas climalteranti al 2030, andando ben oltre il 40% di riduzione delle emissioni previsto attualmente e raggiungendo almeno il 65% per essere in linea con l’obiettivo di 1.5°C previsto dall’Accordo di Parigi».

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